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13 gennaio 2022 4 13 /01 /gennaio /2022 11:01

Come è noto il DPR 600/1973 prevede (tra l'altro) le norme con le quali gli enti creditori devono procedere all'accertamento dei tributi.

In particolare, l'art. 42 DPR 600/1973 prescrive le forme ed il contenuto degli avvisi di accertamento in rettifica  o d'ufficio, come segue: "1. Gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d'ufficio sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. 2. L'avviso di accertamento deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d'imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. 3. L'accertamento é nullo se l'avviso non reca la sottoscrizione, le indicazioni, la motivazione di cui al presente articolo e ad esso non é allegata la documentazione di cui all'ultimo periodo del secondo comma. 4. Fatte salve le previsioni di cui all'articolo 40-bis del presente decreto, sono computate in diminuzione dei maggiori imponibili di cui al secondo comma le perdite relative al periodo d'imposta oggetto di accertamento, fino a concorrenza del loro importo. Dai maggiori imponibili che residuano dall'eventuale computo in diminuzione di cui al periodo precedente, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione le perdite pregresse non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo. A tal fine, il contribuente deve presentare un'apposita istanza all'ufficio competente all'emissione dell'avviso di accertamento di cui al secondo comma, entro il termine di proposizione del ricorso. In tale caso il termine per l'impugnazione dell'atto e' sospeso per un periodo di sessanta giorni. L'ufficio procede al ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l'esito al contribuente, entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza. Ai fini del presente comma per perdite pregresse devono intendersi quelle che erano utilizzabili alla data di chiusura del periodo d'imposta oggetto di accertamento ai sensi dell'articolo 8 e dell'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917." (sottolineature di chi scrive).

Stante quanto previsto al II comma di tale norma, l'avviso si accertamento, in sostanza, deve essere motivato da parte dell'ente creditore in maniera specifica, al fine di consentire al contribuente di comprendere i motivi di tale pretesa fiscale e, se necessario, di potere contestarla nei modi e nei termini previsti dalla legge.

L'obbligo di motivazione posto dall'art. 42 DPR 600/1973, però, non è assoluto ed ammette delle deroghe.

In particolare, il successivo art. 43 prevede che: "1. Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui é stata presentata la dichiarazione. 2. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l'avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. 3. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'Agenzia delle entrate. Nell'avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio delle imposte."

Parrebbe, dunque, che l'ente creditore possa modificare la propria pretesa creditoria tramite la notificazione di un nuovo avviso, ma solo nel caso di integrazione e/o modifica in aumento rispetto all'avviso originario ed in ragione di nuovi elementi di cui è venuta a conoscenza Agenzia delle Entrate.

Ciò a dire che, l'Agenzia è tenuta notificare un nuovo accertamento integrativo o a rettifica di quello precedentemente emesso nei confronti del contribuente solo nel caso in cui:

a) l'Agenzia chieda al contribuente di versare imposte maggiori (in questo si sostanzia la dizione "integrazione o modifica in aumento") rispetto a quelle liquidate nell'accertamento già notificato;

b) tale aumento del carico fiscale sia giustificato dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell'ente creditore.

Si dovrebbe dedurre che, nel caso di sopravvenuta riduzione delle imposte chieste in pagamento con una atto di accertamento ex art. 42 DPR 600/1973 (magari in ragione di un annullamento parziale della pretesa creditoria per mezzo di una procedura in autotutela), l'Agenzia delle Entrate non sarebbe tenuta a emettere un nuovo accertamento verso il contribuente.

L'ente creditore potrebbe semplicemente chiedere al contribuente di pagare la minore imposta accertata, senza necessità di annullare il precedente avviso di accertamento ed emettere un nuovo atto in sostituzione del precedente.

Ovviamente tale tesi pone diversi interrogativi. Quid juris se l'Agenzia, dopo avere accolto integralmente un'istanza di annullamento in autotutela proposta dal ricorrente avverso un accertamento relativo ad una dichiarazione dei redditi specifica, dovesse chiedere la contribuente di versare comunque delle imposte integrative riprendendo a tassazione altri elementi (detrazioni o deduzioni) della medesima dichiarazione completamente diversi da quelli che avevano originato il primo accertamento?

Anche in quel caso varrebbe la regola prevista dall'art. 43 DPR 600/1973?

Secondo la Suprema Corte di Cassazione il principio di cui all'art. 43 DPR 600/1973 ha un'applicazione più estesa di quello che traspare dal suo dettato letterale.

Infatti, risulta ormai pacifico in Giurisprudenza che "In tema di accertamento delle imposte, l'integrazione o la modificazione dell'originario avviso di accertamento determina una nuova pretesa rispetto a quella iniziale, da formalizzarsi a garanzia del contribuente con l'adozione di un nuovo atto impositivo che, sostituendosi al primo, indichi i nuovi elementi di fatto, di cui è sopravvenuta la conoscenza, come prescritto dall'art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nelle ipotesi di "aumento" dell'avviso iniziale, a differenza delle ipotesi "in diminuzione", che non necessitano di forme o motivazioni particolari quando si risolvono in una mera riduzione di quella originaria, non integrante di per sé una nuova pretesa, salvo che anche in questo caso le modificazioni apportate alla pretesa fiscale introducano elementi innovativi, idonei a modificare il fondamento del rapporto giuridico d'imposta circoscritto con il primo atto sostituito." (cfr. Cass. civ., sez. trib. 14.12.2021, n. 39808, in Banca dati De Jure - sottolineature di chi scrive).

Ciò a dire che, anche nel caso in cui l'Agenzia delle Entrate chieda al contribuente di versare imposte minori rispetto ad un precedente atto di accertamento, ma lo faccia sulla base di elementi innovativi, idonei a modificare il fondamento del rapporto giuridico d'imposta circoscritto con il primo atto, allora dovrà emettere un nuovo atto di accertamento relativo a tale diversa richiesta di pagamento.

L'effetto di tale orientamento è molto importante sul piano processuale.

Infatti, se il contribuente volesse contestare una pretesa creditoria dell'erario a lui rivolta, egli potrà opporsi alla stessa svolgendo apposito ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale competente ex art. 18 D.Lgs. 546/1992, da proporsi entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell'atto da impugnare.

Nel caso in cui il contribuente svolgesse un'istanza di annullamento in autotutela dell'atto di accertamento, questa non sospenderebbe il decorso del termine di 60 giorni di cui sopra.

Inoltre, come è noto in giurisprudenza "in tema di contenzioso tributario, l'atto con il quale l'Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l'attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo" (cfr. Cass. SSUU, 16.02.2009, n. 3698, in Banca dati De Jure - sottolineature di chi scrive).

Dunque, se il contribuente si affidasse solamente all'istanza di annullamento in autotutela per la tutela dei suoi diritti, senza tenere conto del termine di 60 giorni previsto dalla legge, egli potrebbe perdere la possibilità di adire il Giudice competente a conoscere della vicenda e, soprattutto, non potrebbe più opporre l'atto di accertamento contestato, il quale diverrebbe definitivo.

Il medesimo ragionamento potrebbe effettuarsi nel caso di annullamento parziale della pretesa creditoria dell'erario svolta in autotutela, visto che, in quel caso, stante quanto previsto dall'art. 43 DPR 600/1973, Agenzia delle Entrate non dovrebbe emettere un nuovo atto di accertamento a rettifica del precedente, ma dovrebbe semplicemente precisare al contribuente l'esatto ammontare delle minori imposte da pagare.

In tale caso, l'atto di accertamento annullato parzialmente in autotutela (a rigore) diventerebbe definitivo per la parte del medesimo non annullata.

Al fine di evitare questo effetto, il contribuente dovrebbe comunque impugnare l'atto di accertamento originario entro 60 giorni dalla sua notifica, nel caso in cui ritenga che le proprie ragioni siano comunque fondate.

Nel caso in cui invece, l'Agenzia delle Entrate sia tenuta alla notifica di un nuovo atto di accertamento a rettifica o integrazione del precedente ex art. 43, III comma, DPR 600/1973, il contribuente potrebbe impugnare autonomamente tale secondo atto, in quanto contenente una pretesa creditoria nuova e diversa da quella originaria.

Il principio ribadito recentemente dalla sentenza n. 39808/2021consentirebbe di ritenere che Agenzia delle Entrate sia tenuta ad emettere un nuovo atto di accertamento anche quando le minori imposte richieste al contribuente trovino origine in elementi nuovi e diversi rispetto a quelle indicate nel primo atto di accertamento notificato.

Anche tale secondo atto di accertamento sarebbe autonomamente impugnabile entro 60 giorni dalla sua notifica al destinatario.      

Ovviamente, oggi l'istituto del reclamo-mediazione tributaria ex art. 17-bis D.Lgs. 546/1992 consente di evitare il rischio dell'istanza di annullamento in autotutela antecedente al giudizio, perlomeno per le controversie di valore non superiore ad Euro 50.000,00=.

Infatti, la possibilità di evitare il rischio del contenzioso attraverso una procedura ADR che interrompa i termini di impugnazione dell'atto di accertamento rappresenta sicuramente un'agevolazione importante per il cittadino oggetto di attenzione da parte dell'erario. 

Si confida che il legislatore nel futuro vorrà implementare tale strumento agevolativo al fine di ridurre il contenzioso ed i relativi rischi per il contribuente.

avv. Giuseppe Paolo Raimondi       

  

  

            

 

   

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