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8 marzo 2021 1 08 /03 /marzo /2021 15:49

Come è noto, il giudizio avanti il Giudice Tributario è un giudizio di natura impugnativa, volto a contestare la pretesa creditoria dell’erario, nelle sue varie articolazioni.

Ciò a dire che il ricorrente avanti la Commissione Tributaria è, in realtà, un convenuto sostanziale.

In effetti, l’intimato è chiamato dall’ente creditore al pagamento di una tassa o imposta o tributo accertato e/o liquidato dal medesimo attraverso un atto amministrativo che, se non impugnato, comporterebbe la irretrattabilità del credito erariale (c.d. “giudicato tributario”) e, quindi, l’obbligo del contribuente a pagare gli importi azionati dall’erario[1].

Dunque, il ricorrente si limita a reagire giudizialmente ad una pretesa dell’ente creditore, il quale risulta essere l’attore sostanziale nel rapporto di accertamento e/o riscossione.

Basti pensare che è proprio l’ente creditore a formulare la domanda di pagamento e, quindi, implicitamente ad indicare i confini della (futura e possibile) domanda di tutela giudiziale posta dal contribuente.

Semplificando all’estremo e al netto di ogni differenza relativa al rito, lo schema non è dissimile da quello della semplice opposizione alla sanzione amministrativa.

L’art. 19 D.lgs. 546/1992 prevede un elenco di quei provvedimenti che possono essere contestati avanti il Giudice Tributario. Secondo la giurisprudenza pressoché unanime sono tali tutti gli atti per i quali la legge stessa prevede l’autonoma impugnabilità avanti le Commissioni Tributarie (cfr. Cass. SSUU 10.08. 2005 n. 16776, in Banca dati De Jure).

È, però, frequente che il contribuente riceva contemporaneamente più intimazioni riferiti a diverse violazioni di natura tributaria.

Ci si chiede se in questi casi il contribuente possa impugnare tali plurimi atti con un unico ricorso alla Commissione Tributaria competente.

La lettera della legge pare propendere per una soluzione negativa, in quanto:

  1. l’art. 18 D.Lgs. 546/1992, prevede che nel ricorso introduttivo del giudizio debba essere indicato l’atto impugnato (e non gli atti impugnati);
  2. l’art. 19 D.Lgs 546/1992 prevede espressamente che ognuno degli atti autonomamente impugnabili possa essere impugnato solo per vizi propri.

Con questa formulazione il c.d. “codice del processo tributario” parrebbe escludere l'impugnazione cumulativa di più atti di natura tributaria.

Eppure, nella pratica non è infrequente trovarsi ad impugnare una cartella richiamante plurimi atti di accertamento, magari deducendo la mancata notifica di tali atti presupposto al contribuente, conseguentemente eccependo diverse contestazioni di merito relativi alle imposte accertate con tali atti (prima fra tutte la prescrizione del credito o la decadenza ad accertare il tributo) e chiedendo l’annullamento anche di tali atti presupposto[2].

È evidente che, stando alla lettera degli artt. 18 e 19 D. Lgs. 546/1992 in tal caso si renderebbe necessario spiegare tanti ricorsi quanti gli atti impugnati, con forte dispendio di energie per il contribuente ed i suoi difensori, ma anche per la Giustizia Tributaria.  

In effetti, la Giurisprudenza pare ammettere la possibilità di promuovere un unico ricorso contro plurimi atti di natura tributaria, seppur con motivazioni non sempre lineari.

Il presente contributo vuole fare emergere quali siano i casi nei quali i Giudice Tributari hanno rilevato la possibilità di proporre impugnazione a plurimi atti tributari dando impulso ad un unica vertenza giudiziale.    

In primo luogo, occorre precisare che, il ricorso unico contro diversi atti di natura tributaria è definito “ricorso cumulativo”, da distinguersi dal “ricorso collettivo”, cioè da quel ricorso proposto da più contribuenti contro il medesimo atto impositivo (cfr. Comm. Trib. Reg. Lombardia -Milano- 21.05.2018 n. 2315, in Banca dati De Jure – in motivazioni).

Stando alla Giurisprudenza maggioritaria, sarebbe possibile promuovere un ricorso cumulativo avverso più atti impositivi solo se vi sia:

  1. Identità di parti in causa;
  2. Procedimenti formalmente distinti relativi però ad un solo rapporto giuridico di imposta;
  3.  Una questione di diritto comune a tutti procedimenti, la cui soluzione avrebbe efficacia di giudicato su tutti i predetti procedimenti;

In generale, nel caso in cui vi sia identità di parti e si possano rilevare ragioni di interdipendenza tra gli atti impugnati tali da fare emergere ragioni di connessione di carattere oggettivo tra le questioni trattate, allora si riterrebbe possibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso gli atti contestati.        

Nella sostanza, se il contribuente (per esempio) ricevesse due diversi accertamenti da parte di Agenzia delle Entrate per omesso/errato versamento di una determinata imposta basati sul medesimo presupposto, ma per annualità diverse, il contribuente potrebbe ben proporre ricorso cumulativo avverso entrambi gli atti di accertamento.

Oppure ancora, se il contribuente (sempre per esempio) ricevesse due diversi accertamenti da parte di Agenzia delle Entrate relativi a due imposte diverse, ma basati sul medesimo presupposto giuridico (per esempio l’errata qualificazione di un contratto, o l’errata indicazione nelle dichiarazioni fiscali di determinati ricavi), allora il contribuente potrebbe opporsi con un unico ricorso cumulativo avverso i due accertamenti tributari.

Ovviamente, nel caso in cui i due accertamenti provengano da soggetti diversi (per esempio, Agenzia delle Entrate ed un Ente Locale) abbiano ad oggetto rapporti diversi (per esempio, accertamento IRPEF e liquidazione di TARI), non sarebbe possibile per il contribuente promuovere una sola unica vertenza avverso tali atti.

Sempre secondo la Giurisprudenza maggioritaria, sarebbe possibile promuovere ricorso cumulativo anche ad impugnazione di plurime sentenze che abbiano coinvolto le stesse parti ed i medesimi rapporti giuridici.    

Sul punto, la Commissione Tributaria Regionale Lombardia - Sezione di Milano - ha deciso che “Nel processo tributario è ammissibile - fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati - il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima ratio, in procedimenti formalmente distinti, ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d'imposta, pur se riferiti a diverse annualità, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dar vita ad un giudicato rilevabile d'ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d'imposta.” (cfr. Comm. Trib. Reg. Lombardia -Milano-16.05.2019 n. 2096, in Banca dati De Jure).

Ovviamente, il ricorso cumulativo non rappresenta un modo per evitare il decorso dei termini per l’impugnazione autonoma dei singoli atti contestati, ma solo un modo per concentrare l’attività del Giudice adito in un unico processo ed evitare eventuali conflitti tra giudicati. 

Ciò a dire che, al fine di promuovere un ricorso cumulativo è necessario che i termini di impugnazione per tutti gli atti di accertamento contestati siano ancora pendenti al momento della notifica del ricorso o, comunque, che ne sia ancora possibile l’impugnazione.

Diverso dal ricorso cumulativo è, invece, il “ricorso collettivo” cioè quel ricorso proposto da una pluralità di contribuenti avverso il medesimo provvedimento tributario. E' questo il caso, per esempio, dei co-obbligati in solido verso l'erario che impugnino collettivamente un unico atto a loro rivolto.    

Anche in questo caso, è la Giurisprudenza a fissare i confini della ammissibilità di tale difesa giudiziale, stabilendo che il ricorso collettivo è ammissibile se i co-ricorrenti erano tutti destinatari del provvedimento opposto. 

Del pari, si ritiene possibile anche la proposizione di un ricorso cumulativo-collettivo o ricorso “cumulativo improprio”, cioè un ricorso presentato da più contribuenti avverso plurimi atti tributari, a patto che vi sia identità di petitum o causa petendi tra le domande di impugnazione proposte e che le posizioni tra i ricorrenti siano sostanzialmente omogenee e non in contrasto tra loro (sul punto si legga, N. Graziano, D. Pagliuca, Casi e questioni di diritto processuale tributario, Maggioli, 2019, Milano).

A tale proposito è stato stabilito che “Nel processo tributario, non prevedendo il d.lgs. n. 546 del 1992 alcuna disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi e rinviando l'art. 1, comma 2, al codice di procedura civile per quanto non disposto e nei limiti della compatibilità, deve ritenersi applicabile l'art. 103 c.p.c. in tema di litisconsorzio facoltativo, per cui è ammissibile la proposizione di un ricorso congiunto da parte di più soggetti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto ammissibile un ricorso collettivo e cumulativo, contenete identica contestazione, avverso diverse cartelle di pagamento emesse nei confronti di distinti contribuenti per il pagamento del canone televisivo dell'anno 2005” (cfr. Cass civ. 20.04.2016 n. 7940, in Baca dati De Jure).

In conclusione si richiama la seguente massima relativa alla sentenza della Comm. Trib. Prov. Di Reggio Emilia, del 15.10.2008, n. 171, che ben riassume il principio di diritto che consente di ritenere ammissibili il ricorso cumulativo, il ricorso collettivo ed il ricorso cumulativo improprio: “Nel processo tributario la possibilità di proporre ricorso cumulativo-collettivo è piuttosto limitata e, pur in assenza di una disciplina specifica, considerando la disciplina di cui agli artt. 14 e 29 d.lg. n. 546 del 1992 e tenuto conto che l'art. 26 dello stesso decreto per il caso dei ricorsi concernenti identiche questioni di diritto a carattere ripetitivo prevede solamente la facoltà di disporre la trattazione congiunta, deve concludersi che il ricorso collettivo è ammissibile se proposto contro il medesimo atto da più soggetti che ne sono destinatari, il ricorso cumulativo (proposto dal medesimo soggetto contro una pluralità di atti) è ammissibile contro atti che siano tra di loro connessi ed, infine, il ricorso collettivo-cumulativo è ammissibile alle medesime condizioni, vale a dire avverso atti oggettivamente connessi; va, quindi, esclusa detta possibilità per la mancanza del presupposto della connessione oggettiva tra le domande proposte da più contribuenti, ancorché essi abbiano impugnato congiuntamente distinte cartelle di pagamento e relative iscrizioni a ruolo per il recupero di contributi consortili per i medesimi motivi (la carenza di motivazione delle cartelle e la carenza di potere impositivo del Consorzio per il difetto assoluto di beneficio)”  (cfr. Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia 15.10.2008 n. 171, in Baca dati De Jure, sottolineature di chi scrive).

Ovviamente, il ricorso cumulativo (proprio o improprio che sia) come anche il ricorso collettivo,  presume una pluralità di domande di tutela.

Ciò a dire che il Giudice Tributario dovrà esprimersi su ognuna di tali domande, o meglio, sulla validità di ciascun atto impugnato da ciascuna parte ricorrente.

Tale schema si rifletta anche sul versamento del contributo unificato tributario, il quale, a rigore andrebbe pagato per ognuno degli atti impugnati, secondo il valore dei singoli atti medesimi e non sulla somma complessiva del valore dei provvedimenti contestati (cfr. Corte Cost. 07.04.2016 n. 78 e Corte Cost. 29.11.2017 n. 248, tutte in Banca dati De Jure).

Sul punto si ricorda che: “La facoltà di trattazione congiunta e/o cumulativa dei ricorsi rispondente alle esigenze di economia processuale non può tradursi in un indebito risparmio per la determinazione del contributo unificato dovuto dal contribuente proponente il ricorso. Nei ricorsi cumulativi e/o congiunti i ricorrenti, ai fini della determinazione dell'ammontare complessivamente dovuto a titolo di contributo unificato, debbono dunque necessariamente calcolare quanto dovuto valutando disgiuntamente e/o personalmente i singoli importi dovuti a tale titolo in relazione a ciascuna annualità oggetto di controversia ed al valore della lite di ogni atto oggetto di impugnazione.” (cfr. Comm. Trib. Reg. Lombardia 16.11.2018 n. 4976, in Banca dati De Jure).

avv. Giuseppe Paolo Raimondi

 

[1] Sul concetto di “Giudicato Tributario” e di irretrattabilità del credito tributario si legga Cass. SSUU 06.02.2009, n. 2870. Si precisa che, però, secondo parte della giurisprudenza il contribuente potrebbe in via eccezionale chiedere al Giudice Tributario di pronunciarsi sulla legittimità di un accertamento, sulla base di elementi sopravvenuti che ne giustifichino la rimozione dalla realtà giuridica per superiori interessi della Amministrazione Finanziaria. Sul punto si sa che “il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell'annullamento dell'atto tributario divenuto definitivo è consentito, ma nei limiti dell'accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell'Amministrazione finanziaria alla rimozione dell'atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l'impugnazione dell'atto di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell'atto impositivo che avrebbe potuto far valere, per tutelare i propri interessi, in sede di impugnazione dell'atto, prima che divenisse definitivo” (cfr. Cass Civ. 26.09.2019, n. 24033, in Banca dati De Jure)

[2] Di regola “Nel processo tributario non è configurabile un rapporto di continenza, ex art. 39, comma 2, c.p.c., tra le cause aventi ad oggetto l'impugnazione, rispettivamente della cartella di pagamento e dell'avviso di accertamento, in quanto la cartella è impugnabile solo per vizi propri, essendo precluso proporre, avverso la stessa, vizi di merito relativi all'avviso di accertamento, a loro volta proponibili soltanto nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento” (cfr. Cass. Civ. 11.03.2015, n. 4818, in Banca dati De Jure); l’impugnazione cumulativa, però, è ammessa a determinate condizioni, come insegna la Giurisprudenza più accorta: “La cartella di pagamento può essere impugnata soltanto per vizi propri e solo eccezionalmente per vizi che colpiscono l'atto presupposto. Qualora l'interessato dimostri di non aver avuto legale conoscenza dell'atto presupposto, si ammette che in sede di impugnazione della cartella possano essere svolti motivi di impugnazione contro l'atto presupposto” (cfr. Comm. Trib. Reg. Ancona -Marche- 23.12.2020, n.1119, in Banca dati De Jure, tra le tante).

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